Un percorso che parte da lontano quello di Roberto Pupi, che dalla pittura transmuta nella fotografia' Con Roberto ci siamo conosciuti alla Galleria ll Punto di Firenze nel lontano 1989: uno spazio situato sulle sponde dell'Arno tra Ponte S.Trinita e Ponte Vecchio. Già in quella mostra, presentata da Cristina Giannini, si trovavano in nuce le caratteristiche e gli sviluppi del suo lavoro artistico: effetto di frammentazione, materia e spazio sottosopra, "forme allusive ai contorni del mondo marino", la modularità - dittici, trittici, polittici - e un certo tipo di sensibilità caratterizzata da delicatezza e malinconia'.

Tracciare un percorso uniforme e rettilineo nel lavoro di Pupi risulta impresa ardua dal momento che la sua opera è piuttosto come un flusso di coscienza come un continuum fatto di richiami, rimandi' refrain, un ciclo dell'eterno ritorno, un percorso circolare, anzi per meglio dire ovale, dal momento che questa forma ricorre appunto a distanza di decenni nel suo lavoro artistico.

E' significativo il passaggio dalla pittura alla fotografia anche se, come egli ha più volte sottolineato' non si considera un fotografo ma bensì un pittore che utilizza la fotografia, che è interessata all'artisticità di quest'ultima, alla sua peculiarità di catturare e di fissare un'immagine.

All'artista/fotografo interessa l'atto magico-rituale dell'arte: di-segnare con la luce "il bisonte" è come catturarne l'anima, rapirne e immortalarne l'essenza. Uno dei temi fondamentali del suo lavoro e che si collega con questo aspetto ancestrale dell'arte è quello della morte. Pupi ritrae amici, congiunti e parenti "al passato remoto" ed è interessato non tanto alle sembianze fisiche, dal momento che nella maggior parte dei casi ne stravolge o deforma le fattezze lino al limite della riconosciblità, ma piuttosto al tentativo di catturare l'attimo fuggente: uno sguardo, un batter di ciglia, un grido, una bocca digrignata, un mento, un momento, un alito' un sussurro, pochi centimetri di azzurro, una visione ad ampio raggio e il volto diventa paesaggio'.

La recente serie dei divi hollywoodiani ricorda molto da vicino una serie di volti inquadrati in una cornice ovale esposti nel 1994 nella mostra intitolata Monumenta. Woody Allen, Sean Connery, Jane Fonda catturati nel loro fotogramma migliore, nel fior di gioventù o all'apice della carriera' Una riflessione su come vorremmo essere ricordati, quale immagine destinata ai posteri e anche ai poster? Pensiamo a Marylin inimitabile e mille volte ripetuta perché il suo volto è ormai quello che le ha fatto assumere Andy Warhol, così come Monna Lisa e il suo sorriso che non è più soltanto quella di Leonardo e poi di Duchamp ma nell'immaginario collettivo oggi ha anche le sembianze di Julia Roberts'.

Pupi è interessato all'Aura che sprigiona ogni essere vivente - una serie di opere del 20og porta appunto questo titolo - un alone mistico espresso anche dall'ombra dei chiodi riflessa sul muro: il volto del figlio fanciullo, un'immagine pura, innocente' "di gentile aspetto" ma come nel canto dantesco "un colpo avea diviso"; come in Marble portrait in cui il volto si fa lapide. Tagli verticali, tagli orizzontali, tagli obliqui che come fendinebbia attraversano l'esistenza, punctum dolens del vivere quotidiano' protuberanze o escrescenze, "cocci aguzzi di bottiglia".

ll tema del mondo alla rovescia, del sotto in su' del diritto /rovescio, sinistra/destra, dello specchio e

dell'immagine riflessa ha sempre affascinato Roberto Pupi, quindi non poteva mancare al suo repertorio un'originale versione del personaggio di Alice che insegue il Bianco Coniglio' E'. un'Alice colta nell'atto in cui precipita e s'immerge in un'altra dimensione quella onirica' da bidimensionalediventa tridimensionale, così come la maggior parte delle "immagini" prodotte da Pupi che ama definirsi fotoscultore. E' un'Alice a tutto-tondo, è un' alice tutta-testa, n'Alice/Medusa che sta per essere decapitata dalla Regina di Cuori.

ll tema della vanitas e del memento mori lo ritroviamo invece nell'opera Food-Art del 2004, pezzo

unico realizzato in occasione di una performance sul tema del cibo in cui gli spettatori erano invitati ad assaggiare le opere esposte. L'opera di Pupi risulta esteticamente accattivante ma poco commestibile, un'opera più da contemplare che da mangiare, anzi un'opera che scruta lo spettatore con il suo occhio gibboso e ciclopico immerso nella colla di pesce, con le foglie di lauro di montaliana memoria che gli fanno corona.

Altro pezzo unico è Quel mazzolin di fori prodotto per uno spettacolo teatrale intitolato "Chi s'offre dipiù?" ideato dalla compagnia Rapsodi gruppo fono-grafico e andato in scena per la prima volta nel dicembre 2008. Il lavoro di Pupi, estrapolato dal contesto, assume anche in questo caso una valenza altra che rievoca i tanti mazzolini di fiori che si possono incontrare ai semafori o in prossimità di un incrocio stradale, piccole testimonianze appassite di un evento luttuoso.

Regno vegetale e regno animale sono protagonisti di alcune serie più recenti, ovvero realizzate tra il 2008 e il 2010. Nella serie degli Alberi è ancora una volta presente il tema dello specchio e della riflessione: chiome scheletriche che si aprono al cielo come ampi ventagli, apici senza tronco né radici' spoglie vestigia di un tempo che fu' Antiche piante dipianto antico. E di nuovo i fiori protagonisti della serie invero-similis: l'avorio della calla si staglia su un "cuscino" nero come l'ebano; rose rosse e rose,rosae, rosarum, rosis, a testimonianza di una lingua morta. Le varie sezioni non ricompongono l'insieme, gli stami sono divisi dai pistilli, sinonimo di un'impossilità  riproduttiva'

La serie degli Acquari, del'2010, può essere messa in relazione con la serie intitolata Cum-serbo, del 2008 nella quale, deposti in contenitori di plastica trasparente come entro urne per celle frigorifero, sia dagiano volti bivalve, sorrisi surgelati di mitili ignoti. Flexo, Foto onda, Fotosbalzo, immagini ripescate e conservate sotto plexiglass, foto fish eye, in un continuo gioco di rimandi e di scatole cinesi; Roberto Pupi raddoppia e moltiplica le immagini, riproduce un acquario virtuale partendo dallo scatto di un acquario reale, quello di Lisbona' La sfida ultima quella di rendere addirittura l'effetto del movimento dell'acqua attraverso la luce naturale che s'insinua tra le pieghe estroflesse. Ma quella che l'artista rappresenta è sempre più una natura desti-nata all'estinzione e il suo pervicace istinto di conservazione lo porta a preservare per i posteri almeno una porzione, una fetta, un parallelepipedo, una lisca, un'esca, un osso di seppia.

Cubi, scatole, tronchi di piramide e prismi, trottole impazzite, volti yo-yo in bilico su un cavo d'acciaio, appesi, deposti sulle scale' gettati alla rinfusa come dadi, montati su ruote a testimonianza dello scorrere del tempo. Mani e piedi in evidenza come nella serie Skating Caravaggio omaggio al grande maestro che otografava la realtà prima della nascita della foto-grafia. La foto per Pupi prende forma, assume la terza dimensione, dal bianco e nero vira e poi passa di nuovo al colore, da fotoscultura diventa installa-zione e dialoga con l'ambiente circostante. Da immagine fissa, sensibile alla luce, assume il movimento e diventa foto mobile.

Nella serie delle opere recenti, ovvero risalenti al 2009, di notevole rilievo è quella dedicata all'anniversario dell'allunaggio (1 969-2009) intitolata Pelle di luna nella quale il simbolo per eccellenza del Romanticismo viene rappresentato come un involucro floscio, un volto disfatto, una pellicola crisalide di se stessa appesa alla parete come la pelle di San Bartolomeo nell'affresco michelangiolesco della Cappella Sistina, Già i futuristi all'inizio del Novecento avevano decretato la morte del chiaro di luna, dopo che l'uomo vi ha messo piede (forse),vedi la serie Moon path (2009), ormai il sentiero è tracciato, il sogno di Verne si è realizzato: dalla Terra alta Luna il passo è breve e all'artista non resta che sperare di lasciare una scia nello spazio infinito e la propria firma nel firmamento'

Un percorso che approda lontano quello di Roberto Pupi che, a differenza di molti artisti che si muovono sull'arduo terreno della ricerca artistica contemporanea, non è passato con disinvoltura semplicemente da un mezzo visivo a un altro, ma ha fatto della fotografia l'essenza §tessa della sua poetica stravolgendo e dissacrando l'immagine, ibridandola con altri materiali, montandola su insoliti supporti, contraddicendo la natura stessa del medium foto-grafico passando dalla seconda alla terza dimensione e quindi la sua ricerca si può collocare idealmente su quella linea sperimentale che attraversa tutto il Novecento e che ha prodotto lavori come i raygrammi di Man Ray e le xerografie originali di Bruno Munari.

Roberto Pupi continua a produrre e non ri-produrre l'immagine: "la tela gravida", "il volto circonflesso". Ogni opera e ogni suo elemento per quanto possa essere simile è sempre un unicum e nella continua tendenza di dare movimento e fisicità a qualcosa che è statico, è come se ricostruisse perennemente e fosse alla ricerca di un corpo perduto.

 

English:

Roberto Pupi’s career has been a journey that started with painting which mutated into photography. Roberto and I first met in 1989 at the Galleria Il Punto in Florence, situated on the bank of the Arno between Ponte S. Trinità and Ponte Vecchio.  At that exhibition, presented by Cristina Giannini, the kernel of  the characteristics which would be developed in his work was already present – the fragmentation effect, matter and space upside-down, “allusive shapes on the fringes of the marine world”, the modularity – diptychs, triptychs, polyptychs  – and a certain type of sensitivity characterised by  delicacy and melancholy.

Charting a linear progression through Pupi’s career is extremely difficult since his work is like a flow of consciousness, a continuum made up of recall, references, refrain, a cycle of eternal return, a circular or, more exactly, oval route since this shape is repeated over the decades in his work as an artist.

His passage from painting to photography was very important even if, as he has repeatedly stressed, he does not think of himself as a photographer but rather a painter who uses photography. He is interested in the artistic possibilities of the medium, its particular way of capturing and fixing an image.

The artist/photographer is concerned with the magical ritualistic act of art. To  draw “the bison” with light is like capturing its soul, seizing and immortalising its essence.  One of the fundamental themes of his work, linked to this ancestral aspect of art, is death. Pupi portrays friends and family members in the “remote past” and he is interested not so much in their physical likeness, since in the majority of cases he distorts or deforms their features to the  extent of rendering them almost unrecognisable, but rather in an attempt to capture the fleeting moment – a glance, a blink,  a shout, a twisted mouth, a chin, a moment, a breath, a whisper, a few centimetres of blue sky, a wide ranging vision and a face becomes a landscape.

The recent series of Hollywood stars closely resembles a series of faces arranged in an oval frame which was exhibited in 1994 in the show entitled Monumenta. Woody Allen, Sean Connery, Jane Fonda captured in their best-ever frame - in the flower of youth or at the height of their careers. A refection on how we would like to be remembered, which image to be handed down to posterity or printed on posters? One thinks of Marylin, inimitable and reproduced a thousand times because her face has become the Andy Warhol version of it, just as the Monna Lisa and her smile is no longer only that painted by Leonardo and later by Duchamp but in today’s collective imagination it also has the countenance of Julia Roberts.

Pupi is concerned with the Aura which emanates from every living creature – a series of works from 2009 go under this title – a mystical air expressed also by the shadow of the nails reflected on the wall; the face of his young son, a pure innocent image, “of noble aspect” but just as in Dante’s canto, “ by a  blow divided”, as in “Marble Portrait” in which the face becomes a gravestone. Vertical slashes, horizontal slashes, diagonal slashes which like a fog-lamp cut across one’s existence, the punctum dolens “sore point” of everyday life, protuberances, lumps and warts, sharp fragments of a broken bottle.

The theme of the world inside out and upside-down, of standing upright and  the reverse, left and right, the mirror and the reflected image, has always fascinated Roberto Pupi, Therefore he could not omit from his repertory an ingenious version of  Lewis Carroll’s Alice as she follows the White Rabbit. It is an Alice caught at the moment when she falls and finds herself in another dimension, that of dreams, and passes from two dimensional to three dimensional like the greater part of the “images” produced by Pupi who likes to define himself as a photosculptor. It’s an Alice in the round, an Alice all-head, an Alice /Medusa about to be beheaded by the Queen of Hearts.

The theme of vanitas and memento mori  we find instead in the work Food Art of 2004 a single piece realised on the occasion of a performance dedicated to food in which the spectators were invited to taste the works on show. Pupi’s work while aesthetically attractive proved to be hardly comestible, a work to be contemplated rather than eaten. It is more a work which scrutinises the beholder with its bulging, cyclopic eye immersed in fish-glue, with the laurel leaves of Montalian (Eugenio Montale) memory forming a crown.

 The other single piece is called  Quel mazzolin di fiori produced for a theatrical performance entitled “Qui s’offre di più?” created by the Rapsodi company phonographic group and staged for the first time in December 2008. Pupi’s work, taken out of context, assumes in this case too a different meaning and brings to mind the many bunches of flowers which can be seen at traffic lights or at the approach to crossroads – each one a small, wilted reminder of grief.

The vegetable world and the animal kingdom are the protagonists in some of the recent series produced between 2008 and 2010. In the series of Alberi (Trees) the idea of the mirror and reflection is present once again. Skeletal manes open up towards the sky like wide fans, tree-tops with neither trunks nor roots, shorn vestiges of past time. Ancient trees of ancient tears. Flowers are again the protagonists of the series invero – similis ; the ivory of the calla lily which stands out from the “cushion” as black as ebony, eroded red roses, rosae, rosarum, rosis, - testimony to a dead language. The various parts cannot be recomposed to form a whole – the stamens separated from the pistils are synonymous with the impossibility to reproduce.

The Acquari series of 2010 can be compared with the series entitled Cum-Serbo of 2008 in which, placed in transparent plastic containers as if in urns for cold stores, mollusc faces, the frozen smiles of unknown mussels are laid to rest.

Flexo, Foto onda, Fotosbalzo images fished out and preserved under plexiglass, fish-eye photos in a never-ending game of back-and-forth and Chinese boxes. Roberto Pupi doubles and multiplies the images to reproduce a virtual aquarium using a photograph of a real aquarium, the one in Lisbon, as his starting point. The final challenge is to convey the actual effect of the movement of water through the natural light which insinuates itself between the extroflexed folds. But that which the artist portrays is increasingly a vision of nature destined for extinction and his stubborn instinct for conservation leads him to preserve for posterity at least a part, a piece, a parallelepiped, a fishbone, a bait, a cuttlefish bone.

Cubes, boxes, truncated pyramids and prisms, crazy spinning tops, yo-yo faces precariously perched on a steel cable, hung up, placed on the steps, tossed carelessly like dice, mounted on wheels as witness to the passing of time. Hands and feet highlighted as they are in the Skating Caravaggio series, in homage to the great master who photographed reality before the birth of photography. For Pupi a photo takes shape, assumes a third dimension, from black and white it turns and passes again to colour. From photosculpture it becomes an installation and inter-reacts with the surrounding environment. From a fixed image, sensitive to the light, it takes on movement and becomes a mobile photo.

In the series of recent works, dating from 2009, the most outstanding is the one dedicated to the anniversary of the moon landing (1969 – 2009). With the title Pelle di Luna (Moonskin) the symbol par excellence of Romanticism is depicted as a flaccid husk, a devastated face, film as its own chrysalis hung on the wall like the skin of St. Bartholomew in Michelangelo’s fresco in the Sistine Chapel. In the early years of the twentieth century the futurists had already decreed the death of moonlight and after man had set foot there (perhaps), see the series Moon Path (2009), the path had been charted and Verne’s dream had become reality. From the Earth to the Moon the distance is short and all the artist can hope for is to leave a trail in infinite space and make his own mark in the firmament.

Roberto Pupi’s career path has taken him a long way and, in contrast to many artists who move on the difficult terrain of contemporary artistic research, he has not passed with nonchalance simply from one visual medium to another but has made photography the real essence of his poetic, distorting and desecrating the image, grafting it on to other materials, mounting it on unusual supports, contradicting the very nature of photography by passing from the second to the third dimension. Therefore his research can ideally be placed on that line of experimentation which has crossed the whole of the twentieth century and which has produced such works as Rayographs by Man Ray and Bruno Munari’s xerografie originali. 

Roberto Pupi continues to produce and not re-produce images; “the pregnant canvas”, “the curved face”. Each work and every one of its elements however similar they may be is always an unicum and in the continual attempt to give movement and physicality to something which is static it is as if he perennially reconstructs, as if he is searching for a lost body.

 

Tedesco:

Der künstlerische Verlauf von Roberto Pupi nimmt seinen Ursprung in der Malerei, welche in die Fotografie übergeht, zur Fotografie transmutiert. Meine erste Begegnung mit Roberto liegt nunmehr weit zurück, im Jahre 1989, in der Galerie Il Punto in Florenz, am Ufer des Arno zwischen der Ponte San Trinita und der Ponte Vecchio. Bereits in jener Ausstellung, unter der Leitung von Cristina Giannini, erkannte man in nuce den Charakter und die Entwicklung seines  künstlerischen Schaffens: Effekt der Fragmentierung, konfuse Materie, konfuser Raum, “Formen in Anspielung auf die Konturen der Marinen Welt“, „der Weltmeere”, die Modularität Diptychon, Triptychon, Polyptychon, und eine Sensibilität geprägt von Zartgefühl und Melancholie.

Die Arbeiten von Pupi generell, einheitlich einzuordnen ist ein äußerst schwieriges Unterfangen, zumal seinen Werken ein flusso di coscienza, eine Geistesströmung, ein Bewusstsein, zu Grunde liegt, ein continuum aus Lockrufen, Abweisungen, refrain, einem Zyklus der ständigen Wiederkehr, ein zirkulärer Verlauf, oder besser, ein ovaler Verlauf, da gerade diese Form, das Oval, seit Jahrzehnten eine immer wieder auftretende Schlüsselform in seinen Werken ist.

Der Übergang von der Malerei zur Fotografie ist zweifelsohne signifikant, auch wenn sich der Künstler, wie er selbst mit Nachdruck betont, nicht als Fotograf sieht sondern als Maler, der sich der Fotografie bedient. Ihn interessiert vor allem die Kunst in der Fotografie, das künstlerische Potential der Fotografie, sowie ihre besondere Fähigkeit, ein Bild, immagine, einzufangen und festzuhalten, zu verewigen.

Dem Künstler/Fotografen fasziniert das magische Ritual, die rituelle Magie der Kunst: ein „Bison“ abzulichten, „mit Licht einzufangen“, ist als erfasste man seine Seele, als raubte man sein Wesen und machte es somit unsterblich. In engem Zusammenhang mit diesem anzestralen Aspekt der Kunst steht eine der zentralen Themen seiner Arbeiten, der Tod. Pupi porträtiert Freunde, Nahestehende und Verwandte im „passato remoto“, in der „Vorvergangenheit“, und legt dabei das Augenmerk weniger auf das physische Erscheinungsbild, die physische Ähnlichkeit, als vielmehr auf den Versuch, den vergänglichen Augenblick, einen flüchtigen Moment, einzufangen: mit Vorliebe entstellt, deformiert er die Charakterzüge seiner Portraits bis an die Grenze der Erkennbarkeit; ein Blick, ein Wimpernschlag, ein gespreizter Mund, gefletschte Zähne, ein Kinn, ein Augenblick, ein  Atemzug, „wenige Zentimeter von Bläue“, eine Vision mit Weitblick und das Antlitz wird zur Landschaft.

In der Ausstellung im Jahr 1994 mit dem Titel Monumenta zelebriert er eine Reihe von Hollywood-Stars, divi hollywoodiani, in Form von oval gerahmten Nahaufnahmen. Weltberühmte Fotogramme zeigen Stars wie Woody Allen, Sean Connery und Jane Fonda von ihrer besten Seite, in der Hochblüte ihrer Jugend oder am Gipfel ihres Erfolges. Eine Reflexion darüber, wie man in Erinnerung gehalten werden will; welches Bildnis ist für die Nachwelt, i posteri, geeignet und auch als Poster? Denken wir nur an Marilyn, einzigartig, unnachahmlich und unzählige Male reproduziert, zumal Ihr Erinnerungsbild nunmehr jenes ist, das ihr Andy Warhol verliehen hat; auch Mona Lisa und ihr Lächeln gehören nicht mehr ausschließlich Leonardo und (später auch) Duchamp, sondern haben in der kollektiven Phantasie jüngstens auch Verwandtschaft mit Julia Roberts angenommen.

Pupis Interesse gilt auch der Aura eines jeden Lebewesens- eine Serie von Arbeiten aus dem Jahre 2009 trägt den gleichnamigen Titel-  jene mystische Radianz, jene mystischen Strahlen, denen in seinen Arbeiten auch die von den Nägeln an die Wand geworfenen Schatten Ausdruck verleihen: das Bildnis seines jungen Sohnes, von purer Gestalt und unschuldigem „freundlichen Wesen“ aber, wie in den Gesängen Dantes, canto dantesco, „un colpo avea diviso“, „durch einen Schlag geteilt“; wie im Marble portrait, in welchem das Antlitz zu Stein wurde. Senkrechte Schnitte, waagrechte Schnitte, oblique, diagonale Schnitte durchdringen wie Nebelscheinwerfer die Existenz, punctum dolens des Alltags, Wucherungen und Auswüchse, „scharfe Glasscherben“.

Das Thema der „auf den Kopf gestellten Welt“, der „verkehrten Welt“, die Konzepte „oben und unten“, „drunter und drüber“, gerade/verkehrt, links/rechts, Spiegel und Spiegelbild, haben Roberto Pupi seit jeher fasziniert. Und gerade deshalb darf in seinem schöpferischen Repertoire eine zeitgenössische Interpretation der Gestalt von Alice im Wunderland, die einem weißen Hasen folgt, keineswegs fehlen. Es handelt sich um eine Alice auf ihrem Flug, während ihres Eintauchens in eine andere Dimension, in die dimensione onirica, die Traumwelt, Wunderwelt, der Übergang vom Zweidimensionalen ins Dreidimensionale, ein immer wiederkehrendes Element in Pupis Arbeiten, der sich selbst bevorzugt als „Foto-Bildhauer“, fotoscultore, bezeichnet. Er stellt ein „kugelrunde“ Alice dar, eine Alice die zur Gänze „aus Kopf besteht“, eine Alice/Meduse die Gefahr läuft, von der Herzkönigin enthauptet zu werden.

Den Leitmotiven der vanitas und dem memento mori begegnet man erneut in seinem Werk mit dem Titel Food-Art aus dem Jahre 2004, ein Unikat welches anlässlich einer Performance zum Thema „Essen“ realisiert wurde, in der der Zuschauer animiert wurde, eine kulinarische Kostprobe der Exponate zu nehmen. Das Werk Pupis wirkt auf den ersten Blick sehr verlockend, stellt sich jedoch als schwer verdaulich heraus; ein Werk, das eher zum Betrachten als zum Verzehr geeignet ist. Der Betrachter wird von einem in Fischleim gebetteten, zyklopischen Mondauge angestarrt, das, im Sinne des Poeten Eugenio Montale, mit Lorbeerblättern geschmückt ist.

Ein weiteres Unikat mit dem Titel Quel mazzolin di fori - „Jener Strauss von Löchern“ (als Wortspiel von Mazzolin di fiori - Blumenstrauss), realisierte Pupi anlässlich eines Theater Spektakels „Chi s'offre di più?“ - „Wer leidet mehr?“ (als Wortspiel von Chi offre di più? - Wer bietet mehr?) der fonografischen Theatergruppe Rapsodia, das zum ersten Mal im Dezember 2008 aufgeführt wurde. Das Werk Pupis, sinngemäß aus dem Inhalt des Theaterstückes gegriffen, basiert einmal mehr auf einer Sinnentfremdung, einem Wortspiel, mit Bezugnahme auf die Blumensträuße, die man häufig an Straßenkreuzungen, an Ampeln aufgebunden, antrifft, als Zeichen tragischer Unfälle, Trauerfälle.

Das Pflanzenreich und das Tierreich sind die Protagonisten einiger rezenter Arbeiten, die im Zeitraum von 2008-2010 entstanden sind. Im Zyklus Alberi, Bäume, trifft man einmal mehr Spiegelbild und Reflexionen als zentrale Themen an: skelettförmige Baumkronen öffnen sich zum Himmel hin wie gigantische Fächer, Wipfel ohne Baumstamm und ohne Wurzeln, spoglie vestigia - Relikte als Zeugen vergangener Zeit. Antiche piante di pianto antico (Giosué Carducci). Und erneut stehen Blumen im Mittelpunkt des Zyklus invero-similis: das „Elfenbein“ der Calla entspringt einem Ebenholz-ähnlichen „Kissen“; rose rosse erose, rosae, rosarum, rosis, als Testimonianz, als Zeuge einer toten Sprache. Die Summe der Einzelteile, die Summe der verschiedenen Sektionen, ist nicht gleich dem ursprünglichen Gesamten; die durch die Stempel getrennten Staubblätter stehen als Synonym für eine nicht mögliche Fortpflanzung,  Sterilität.

Die Arbeiten mit dem Titel Acquari, Aquarien, aus dem Jahre 2010, stehen in engem Zusammenhang mit jenen aus dem Jahre 2008 unter dem Titel Cum-serbo: in Gefrier-Urnen gleichenden transparenten Plastikgefäßen hocken, lehnen volti bivalve, „doppelschalige Muschel-Gesichter“, eingefrorene Lächeln „unbekannter Mollusken“, mitili ignoti (als Wortspiel zu milite ignoto - „Der unbekannte Soldat“ - zu verstehen).

Flexo, Foto onda, Fotosbalzo, gefangen, gefischte und in Plexiglas eingeweckte Erscheinungsbilder, immagine, sowie foto fish eye, in einem endlosen Spiel der Wiederkehr- gioco di rimandi, und chinesischer Schachteln; Roberto Pupi verdoppelt, vervielfältigt fotografische Ansichten, reproduziert ein virtuelles Aquarium mit Hilfe der Vorlage eines reellen Schnappschusses des Lissabonner Aquariums. Diese letzte Herausforderung besteht darin, den Formen der Wellenbewegungen, des eingefangenen Lichtes, durch Extroflexionen - „Ausstülpungen“ Ausdruck zu verleihen. Das was jedoch den Künstler wahrlich charakterisiert ist die Darstellung einer zunehmend vom Aussterben bedrohte Natur; sein tief verankerter Hang und Instinkt der Wiedererhaltung treibt ihn dazu, zumindest eine Portion, eine Scheibe, ein Parallelepiped, eine Fischgräte, einen Köder, einen „Tintenfischknochen“ (ossa di seppia) für die Nachwelt zu retten, zu bewahren.

Kuben, Schachteln, Pyramidenrümpfe und Prismen, verrückt gewordene Kreisel, YoYo-Gesichter auf dem Drahtseil balancierend, frei schwebend, auf Treppen postiert, verstreut wie hingeworfene Würfel oder auf Rollen montiert, als Zeugen der verfließenden, der verflossenen Zeit, dem Lauf der Dinge. Ausgestreckte Hände und Füße wie in den Arbeiten der Serie „Skating Caravaggio“, als Hommage an den großen alten Meister dem es gelungen ist, die Realität zu fotografieren, bereits lange vor der Entstehung der Fotografie. Für Pupi nimmt das Foto Gestalt an, er verleiht ihm eine dritte Dimension, nimmt Ausgang im Schwarz-Weiß, um wieder in Farbe überzugehen; die Fotoskulptur wird zur Installation und dialogiert mit seinem Umfeld. Das starre, lichtempfindliche Bild, Foto, wird in Bewegung versetzt, lernt laufen, wird zum Fotomobil.

Der Zyklus aus dem Jahre 2009 ist von erheblicher Bedeutung, da er dem Jahrestag der Mondlandung gewidmet worden ist (1969-2009) und trägt den Titel Pelle di Luna, die „Haut des Mondes“. In dieser Serie stellt Pupi das wahrhaftige Symbol der Romantik als kollabierte, schlaffe, schwerelos Hülle dar, ähnlich einer an der Wand hängenden Schmetterlingspuppe, ähnlich der „abgezogenen Haut“ des Heiligen Bartholomäus im Fresko Michelangelos in der Sixtinischen Kapelle. Bereits zu Beginn des Zwanzigsten Jahrhunderts haben die Futuristen dem Mondschein, chiaro di luna, den Kampf angesagt, „zu Tode verurteilt“,  jedoch seit der Mensch (vielleicht) den Fuß auf den Mond gesetzt hat, siehe dazu den Zyklus Moon path (2009), ist der Weg geebnet, und somit der Traum von Jules Verne in Erfüllung gegangen: von der Erde zum Mond ist es nunmehr „ein kleiner Schritt“, und dem Künstler bleibt nichts als die Hoffnung, im unendlichen Universum eine Spur zu hinterlassen, seine eigene Handschrift am Firmament zu verewigen.

Ein äußerst komplexer künstlerischer Verlauf, jener von Roberto Pupi, der seinen Ausgang von weit her nimmt und im Gegensatz zu vielen Künstlern, die sich der schwierigen Forschung innerhalb der zeitgenössischen Kunst verschrieben haben, nicht mit unbefangener Leichtigkeit von einem visuellen Medium zum anderen übergewechselt ist, sondern die Fotografie zu seiner essenziellen Poesie erhoben hat. Indem er das Bild verzerrt, entweiht, mit anderen Materialien hybridisiert, auf ungewöhnliche Untersätze montiert, vom Zweidimensionalen zum Dreidimensionalen wechselt,  widerspricht er in seinen Arbeiten der Natur des Mediums Fotografie und platziert sich somit auf die experimentelle Ebene, die das Zwanzigste Jahrhundert geprägt und Werke wie Man Rays „Raygramme“ und Bruno Munaris „Xerografie originali“  hervorgebracht hat. 

Roberto Pupi bleibt weiterhin seinem Grundkonzept treu, ein immagine zu produzieren und nicht zu reproduzieren: die „schwangere Leinwand“, das „zirkumflexe Antlitz“, jede seiner Arbeiten sowie jedes seiner Elemente, mögen sie sich auch ähneln, sind dennoch einzigartig und kontinuierlich darauf bedacht, einem statischen Gegenstand Bewegung und Körper zu verleihen; es ist als versuche er ständig zu rekonstruieren, als wäre er auf der permanenten Suche nach dem verlorenen Körper.